venerdì 3 maggio 2013

9. LETTERA DI VINCENZO LOMBARDI A VITO GALATI




                                                                                                 Roma, 27 novembre 1953
Carissimo Vito, mentre ti ringrazio sempre di quanto fai e farai, ti mando alcune notizie sommarie sulla vita e sull'attività di mio fratello.
Poiché il tempo stringe, detto le poche cose che seguono, affidandomi alla memoria e all'affetto. Spero che, dopo espletato questo mio dovere, in collaborazione dei buoni amici, tra i quali tra i primi sei tu, io possa raccogliere alcuni scritti che mi sembrano meritevoli di attenzione ed allora, con più calma, spero di poter dire io stesso di Lui, nella biografia.
Tieni presente che anche il mio compito non è facile, sia perché io ho vissuto sempre a Roma dalla mia giovinezza, mentre Nino viveva a Catanzaro, sia perché egli, dopo la crisi spirituale che lo colse verso il trentesimo anno, divenne ancora meno comunicativo delle sue cose intime e per il suo apostolato di carità mascherò, a fin di bene, da vero cristiano, le sue espressioni esteriori. Leggendo, dopo la sua morte e avendone avuto conoscenza indiretta, mi è dato oggi comprendere ciò che non era possibile mentre egli viveva. Così anche per quanto riguarda i rapporti con la sua famiglia e credo anche con gli amici.
In ogni modo eccoti alcune notizie e ricordi.
Nacque a Catanzaro nel 1898 e ivi morì il 6 agosto 1950. Compì gli studi classici a Catanzaro e a Roma si laureò in legge. Tuttavia fin dall'infanzia si dedicò agli studi di letteratura e filosofia. Ebbe ingegno spiccatamente matematico (si ricorda qualcuno dell'imbarazzo in cui poneva i suoi professori proponendo soluzioni diverse ed io ricordo che, pur non essendo uno studente studioso delle materie di scuola, gli bastava aprire un qualsiasi libro di matematica, nel mezzo, per coordinare immediatamente il non lato).
Mentre non dava alcuna importanza agli studi scolastici, che superava tuttavia facilmente, fin dall'infanzia fu lettore assiduo di qualunque libro nella ricca biblioteca paterna. Credo che il senso vivissimo che ebbe della natura, il suo temperamento spiccatamente romantico, il mistero che egli sentì in maniera quasi angosciosa, la volontà di chiarire il proprio essere e di affermarsi, prima che lo portassero alla fede, lo indirizzarono allo studio di Leopardi, che conosceva quasi a memoria anche negli scritti minori, e poi di Nietsche, e poi di Sthendal, di Goethe, della Filosofia indiana ecc.
Del suo temperamento romantico, che poi dominò, come appare dalle sue opere speculative, che pur mostrano evidenti il pathos di quella tendenza e dell'influenza di quegli studi, vi è traccia profonda in ogni suo scritto ed in riferimento ad essi può disvelarsi l'originalità del suo pensiero (chiaro questo processo mi pare si riscontri ne “La filosofia di Croce”, ne “La psicologia dell'esistenzialismo”, ne “La psicologia dell'Asia”, in quasi tutti gli articoli sull'Osservatore Romano e in moltissimi scritti inediti.
Per tornare alla sua vita (e tu mi scuserai se sono disordinato nel dettare), ti dirò che egli fu sempre eccezionalmente buono, quasi portato istintivamente alla perfezione. Anche se ebbe quell'atteggiamento naturale dei ragazzi e dei giovanissimi che io non saprei definire meglio che col dirlo “guappista”, specie nei rapporti con i suoi coetanei, non ricordo di lui, e nessuno in famiglia ricorda, di averlo sentito mai pronunciare una parola o una frase men che compiuta e tutti ricordano invece che anche nelle sue azioni era prudente, correttissimo, pudicissimo. Aveva talvolta atteggiamenti che a noi sembravano stranissimi e per farti comprendere ti dirò che egli, in piena estate, volle dormire qualche volta con coperte pesanti. Solo dopo la sua morte, da un suo appunto, appresi che egli ciò facesse pensando ad altri che soffrivano. Era un ragazzo ed era già un miscredente!
Egli visse così la sua prima giovinezza, tra gli studi che ti dissi, ma non trascurando altri e di nessun genere, cercando “di porsi al di là del bene e del male”. Tentava così di superare il disagio intimo e credette di superarlo infine con l'adesione alla filosofia buddista (inizio dei suoi studi sulla filosofia orientale, che divennero poi la materia che più ampiamente approfondì e fu originalissimo, come è evidente da ciò che ha pubblicato, ma soprattutto da ciò che è inedito) e ne troverai una prova in quel sonetto giovanile “O notte di settembre” ecc. in cui è evidente, nella frase, l'influsso leopardiano e il desiderio della perfezione e dell'infinito; mi sembra molto bello e significativo quel verso: “prendimi, o vita, a cieli alti e  più puri”.
Andò a Roma studente di legge, frequentò poco l’università, pur dando gli esami, ma molto le biblioteche. Visse anche allora la sua vita solitaria, benché, come tu anche sai, era socievolissimo, specialmente con la gente del popolo e con i bambini coi quali, anche allora, si tratteneva lungamente indugiandosi nei loro giochi.
Tornò a Catanzaro. Tentò invano nello studio di mio padre di indirizzarsi all'avvocatura, almeno come attività collaterale e proficua economicamente, ma tale attività, certo in uno stato di sofferenza nel tentativo di giungere all'indipendenza economica, si limitò a molte memorie difensive dinanzi alla Sezione d'accusa in gravi processi. Visse ancora così, tra i suoi studi, con i suoi pochi amici, studiando e facendo lunghe passeggiate. Malgrado la posizione sociale di mio padre, visse ignorato. Si dedicò fin da allora alle cose di famiglia, affiancando mio padre, amorevolmente, per risolvere quasi quotidianamente le questioni di ordine finanziario, che furono durante il ventennio molto pesanti: mio padre usciva dal sottosegretariato dei lavori pubblici con lire 120.000 di debito, avendo rinunziato alla sua professione durante il mandato; poi la sua attività, dato il suo atteggiamento, diminuì fortemente, ecc. Tu troverai in quel suo diario accenni e proponimenti di volersi interessare delle questioni pratiche con assoluto distacco. Questi miei accenni servono solo a farti comprendere il suo stato d'animo e la sua perfezione.
Venne la grande crisi. Aveva 25 o 26 anni, non ricordo. Forte fisicamente, [...] amò molto, ma nel suo modo estremamente romantico cui contrapponeva per volontà (data la sua concezione dionisiaca della vita) l'apparenza del distacco e della superiorità con le creature che conobbe. Troverai qualche riferimento di questo stato d'animo in qualche bozzetto lirico e più ancora se penserai al Faust e a Margherita. Atteggiamenti di animo e di pensiero.
Si ammalò gravemente (forse da allora rimonta il difetto cardiaco che poi lo condusse alla morte) e seppe di una giovinetta che abitava in una casa vicina, le finestre della quale erano dirimpetto alle nostre, dalla parte del giardino, che seguiva amorosamente il corso della sua malattia, con grande pietà. Egli non si era mai accorto di lei, prima.
Entrò in convalescenza, guarì. Non so come fu, perché dalle notizie che si hanno non appare e qualche suo appunto a me lasciato io dovetti distruggere perché così volle tassativamente; certo si stabilì una relazione spirituale, più ché un'amicizia amorosa. Fu breve: la ragazza (Teresa Mussari), religiosissima, si ammalò di petto. Comincia indubbiamente per mio fratello, dinanzi a questo fatto doloroso, il travaglio ultimo, che doveva risolvere il problema della sua coscienza, del suo pensiero e della sua stessa esistenza. 
Le fu vicino per amore e per pietà; la seguì in tutta la sua sofferenza, dai sanatori a casa, finché ella morì: lasciò a lui il libro delle preghiere e la corona, coi quali pregò egli poi sempre.
Questa fu l’occasione e la luce si fece nel suo animo per sempre. Sottopose la sua vita al controllo più rigoroso, come tu vedi anche dal diario, che è solo frammentario. Continuò i suoi studi ma con un nuovo indirizzo, e solo a fine di apostolato. Ogni giorno fu in chiesa, e la mattina per la santa comunione. Si avvicinò, con altro animo, ai poveri, ai malati, ai deficienti. Come tu rileverai dagli appunti, volle soprattutto essere umile, vincendo quello che egli credeva il suo maggior nemico, l'orgoglio.
Così pubblica La critica delle metafisiche, i primi articoli sull'Osservatore Romano, e comincia la sua vita di relazione, venendo a Roma per pochi giorni, una o due volte l'anno. Così divenne intimo di Anile, di Tucci, di Tilgher, di Ottaviano e di altri. Tilgher, che più di ogni altro forse lo stimò, aveva respinto un capitolo della metafisica, come cosa che non poteva riguardarlo: Nino, per il suo scopo e la sua attività di apostolato, gli rimandò lo scritto e lo pregò di leggere. Il miscredente si piegò alla forza del raziocinio, riconobbe il dialettico poderoso ed è da credere che se Tilgher rivelò infine quell'atteggiamento di profonda religiosità ciò lo si deve a mio fratello. Egli cercava di accostare tutti coloro che erano lontani dalla fede servendosi di diversi mezzi, fossero umili oppure uomini di cultura. Così come andava di casa in casa per sanare i dissidi familiari, così tentava di avvicinarsi a coloro con i quali doveva tenere un linguaggio più alto. Aveva tentato verso la fine della sua vita di avvicinarsi anche a Croce, e non vi riuscì, e so che ciò aveva sofferto.
Le critiche, come sai, da qualunque parte furono altamente favorevoli ai suoi scritti e a me sembra anche indicativo del suo valore il fatto che egli sia riuscito ad imporsi all'attenzione generale con pochi scritti editi, e soprattutto vivendo in una cittadina della nostra terra, dalla quale non è facile ottenere riconoscimento o risonanza, fuori.
La liberazione dell'Italia meridionale portò anche al cambiamento della posizione di mio padre e, occasionalmente per questo, la vita di relazione di mio fratello divenne, sia per riflesso e sia perché egli non era stato mai fascista, più ampia e anche più intensa la sua attività. Fu così che venne a trovarsi Presidente dell'Orfanotrofio di Catanzaro, carica che egli accettò per ubbidienza e che gli diede grandi dispiaceri, perché, avendo di mira egli solamente il miglioramento delle condizioni di vita dei bambini, cercò di superare, con prudenza ma con fermezza, gli ostacoli che gli si frapponevano da parte degli organi amministrativi, strettamente burocratici. Si potrebbe forse ricordare a proposito come egli si sia opposto alla intransigenza di alcune suore, le quali a quei legami burocratici dimostrarono di volersi attenere rigorosamente, non animate certo da spirito di cristianità. Mentre vi erano ingenti quantità di roba inutile e mancava assolutamente il pane e la farina, mio fratello, preoccupatissimo della salute dei piccoli, propose che quella roba, in parte, fosse barattata, per superare le contingenze del momento. E gli si fece una lotta sorda, alla quale Nino rispose con la prudenza del caso, ma con energia. Quando la situazione si chiarì, con ogni sua soddisfazione (se in cerca di soddisfazione si può pensare che egli mai andasse!) lasciò l'incarico, tenuto per qualche anno. Molti ricordano quell'amministrazione di saggezza e di bontà, assolutamente disinteressata, specialmente quei bambini che oggi sono giovani e che avranno nella vita il ricordo del suo esempio luminoso.
Per la prima volta prende contatto con un più ampio pubblico e sono memorabili le conferenze che egli tenne in Catanzaro su problemi religiosi di alta filosofia, ma chiari a tutti (anche perché era un oratore semplice e spontaneo). Queste conferenze furono sull'esempio di quelle che si tengono all'Università Gregoriana, da padre Toccafondi e da altri, e che tu certamente conosci. Esse lo rivelarono alla popolazione che cominciò certamente a riflettere su quello strano individuo quasi ignoto nella sua città, dove era sempre vissuto, e ciò malgrado appartenesse a famiglia certamente in vista per la figura di mio padre. Ebbe inviti numerosi per fuori Catanzaro.
Altra attività fu quella della fondazione del circolo Novum studium, nel quale lavorò molto, raccogliendo fondi, organizzando e che doveva essere un organo-coordinazione di tutte le forze meridionali e specialmente calabresi nel campo del pensiero religioso. Ho, (ma a Catanzaro), una sua dichiarazione di volontà, naturalmente personalissima, nella quale si traccia un programma del Circolo nel quale egli avrebbe dovuto essere tutto, ma voleva figurare il meno che fosse possibile, fino al momento in cui, quando l'istituzione fosse concretizzata, avrebbe lasciato tutto in mano di altri. Con questi proponimenti egli voleva vincere gli eventuali pericoli della vanità, dell'orgoglio ecc. Quella pagina intima penso che meriti un giorno di essere pubblicata.
Tu sai certamente della sua attività politica più che io non sappia, perché al tempo della liberazione della Calabria io ero a Roma e perché politicamente io ho avuto un indirizzo diverso da mio fratello, al quale mi univa soprattutto l'affinità spirituale. Sai pertanto come egli, alieno da ogni attività politica, si sia adoperato, subito dopo la liberazione, a costituire l’A.C. nella provincia, e ne fu il capo e l’attivo e prudente organizzatore. Poi quando egli, se fosse stato animato da altri intendimenti, avrebbe potuto raccogliere il frutto del suo lavoro con altre cariche ed  incarichi, lasciò in mano di altri amici l'organizzazione e legittimamente essi ebbero il riconoscimento di quanto era stato fatto e facevano, trasferendolo nel campo politico.
Sai che sia il 1946 e sia il 1948 gli fu offerta reiteratamente la candidatura a deputato o senatore e non vi è dubbio che egli sarebbe riuscito. La sua rinunzia dispiacque assai a tutti i religiosi della regione, che lo avrebbero sorretto certamente con tutte le forze e senza divisione.  Ma egli pensò che altra dovesse essere la sua attività e che non dovesse essere distratto dalle cose del mondo, nelle quali sentiva per sé un pericolo. Limitò perciò ogni altra attività esteriore e tornò alle sue passeggiate solitarie (soprattutto il Cimitero e Pontegrande furono le sue mete preferite), la sua missione nella San Vincenzo De’ Paoli, nell’aiuto verso i derelitti e i sofferenti, negli studi preferiti, nell’affermazione del Circolo ecc.
Un ricordo speciale è quello che riguarda la vecchia mamma che fin dal 1942 era stata colpita da malattia che, se non l’aveva immobilizzata, l'aveva resa inutile alla vecchia casa. Fu questa una ragione per la quale mio fratello non volle mai allontanarsi da Catanzaro, anche quando sarebbe stato facile per lui ottenere incarichi universitari ed altro. La curò, con mio padre, nel modo più amorevole e continuo, tenendole compagnia, seduto accanto a lei, per lunghe ore, in silenzio o cercando di distrarla per le manie che il male comportava. Povera mamma, che quando poi egli dovette stare a letto per qualche mese ed ella non lo vide, sentì nel fondo della sua coscienza obnubilata che c’era qualche cosa di grave nella casa; si alzò dalla sua poltrona, pochi giorni prima che morisse, lo cercò nella grande casa senza essere osservata nell'agitazione del momento, e lo vide nello studio di mio padre ove egli era stato trasportato, lo guardò e lo riconobbe. Fu la sola volta che delle lacrime scesero sul volto di Nino e dolcemente pregò che la mamma fosse allontanata. Ella morì, come sai, venticinque giorni dopo di lui, lasciando nella casa mio padre, i cui sentimenti tu conoscevi e che sopravvisse per sedici mesi e lasciando la mia povera sorella nubile. Ora la grande casa ospitale (per il bene fatto da mio padre senza distinzione e fatto da mio fratello; oh! la fila dei poveri all'ora del pranzo cui egli provvedeva e per il quale fatto veniva talvolta richiamato per eccessiva generosità ed egli taceva) è chiusa per sempre.
Così continuò a vivere sempre sereno, sempre buono con tutti ma nessuno, come già ti ho detto, sapeva della sua intimità. Ho tanti ricordi che mi spiegano ora tante cose. Ma non è sempre così per coloro che vivono santamente, umiliandosi? Ricordo una notte di capodanno credo nel 1948: io ero andato in Calabria per stare qualche giorno in famiglia. Si stabilì di attendere la mezzanotte, come si suole tra parenti. Egli godette suprememente sempre di stare tra i suoi a sentire e a discorrere. Era forse questa una delle maggiori felicità. Leggendo poi il diario si comprende perché egli volesse sacrificarsi anche in questo e si proponeva di andare a letto ad una data ora: così come effettivamente faceva inspiegabilmente per tutti. Quella notte di capodanno, a una certa ora disse che sarebbe andato a letto. Si allontanò dai suoi, che gli chiedevano il perché, soprattutto dai suoi piccoli nipoti che tanto amava e con i quali si tratteneva lungamente, tornando sempre fanciullo tra i fanciulli. Ma non era egli rimasto sempre un fanciullo?
Ora ti dirò brevemente della suprema affermazione della sua personalità dinanzi alla morte. Invero egli non era stato mai attaccato alla vita, e tuttavia per quanto doveva compiere, e sentiva di poterlo fare, per le condizioni della sua famiglia (Mia madre! Mio padre! Mia sorella! Io stesso così bisognevole spesso di conforto e di consiglio, pur vivendo a Roma e svolgendo ampia attività!) voleva vivere ancora. Ma da tempo era sofferente. Il difetto cardiaco si manifestava nella sua imponenza. Non volle mai farsi visitare dai medici illustri. Le sue sofferenze, come sempre in questa infermità, dovettero essere grandi! Certo la sua attività di scrittore si interruppe dal 1948, ma mi risulta che continuò a fare del bene, preparandosi alla morte. Fu nel giugno del 1950 che ebbe l'ultima crisi, lunga e fatale ed io non te ne darò i particolari come quadro clinico. Andò nella sua Pontegrande, che tanto amava, nella speranza di riacquistare le forze (a Pontegrande vi è ora un istituto di bambini tracomatosi, che porta il suo nome, avendo ceduto io il luogo alla provincia, per molto poco, e come estremo omaggio alla sua memoria e nel conforto del pensiero che quei posti saranno allietati almeno dal sorriso dei bambini) e poi tornò nella nostra casa. Rimasi a letto per oltre un mese. La famiglia si chiuse, quasi senza contatto col mondo, intorno a quel corpo che soffriva. Sappi che mio padre, ad 80 anni ma ancora forte, come tu lo conoscevi, non conobbe per tutto quel tempo il letto e solo per qualche mezz'ora si adagiava, di notte, nella stanza ove egli era. Ricordo il torace, l’addome, che si sollevavano e sussultavano nello spasimo; ricordo i suoi grandi occhi sereni, la sua bocca riarsa anche perché non poteva bere, ricordo il suo sudore profuso, ricordo lo sforzo per sollevare di poco anche un braccio, ricordo la sua posizione sempre supina che invano tentava di modificare e ricordiamo che non una parola o un lamento uscì mai dalle sue labbra. Quando ci sedevamo vicino a lui e portavamo le nostre mani vicine alle sue, ci carezzava. Un sorriso sfiorava qualche volta (ed era anche uno sforzo) le sue labbra se qualcuno, estraneo alla famiglia, a lui caro (e tanto più caro quanto più umile) si avvicinava. Gli era piaciuto sempre declamare poesie nella sua vita, accompagnando le parole con il gesto largo delle braccia, e anche durante quella malattia, gli tornò sulla bocca qualche verso. Ricordo quei versi che egli ripeté dolcemente: “Il carro oltre passò d'erbe ripieno - di fiori empiendo la silvestre via - possa fare anche tu come quel fieno - lasciar buona memoria, anima mia!”.
Si vedeva che spesso era raccolto nella preghiera. Spesso lo si vide faticosamente segnarsi nel segno della croce. Le poche volte che parlò brevemente parlò di Santa Maria Goretti. Disse ad una sorella che il paradiso è molto bello e simili cose a me che mi avvicinavo a lui, verso le ore del mattino, disse: “Ancora tre o quattro ore di battaglia” e morì alle 12:30 circa, quando nessuno lo prevedeva, con un'agonia di forse un quarto d'ora di durata.
Qualche giorno prima che morisse mi aveva detto che non aveva avuto tempo di mettere a posto le sue carte, che bisognava bruciare alcune e a mio padre raccomandò che fossero restituite alcune piccole somme versate da alcuni oblatori per il Circolo e che fossero date le lire 5000 che lasciava alla donna di servizio.
Ti aggiungerò qualche altra cosa, oltre già detto, su quanto ha lasciato scritto edito ed inedito.
La Critica delle metafisiche si esaurì rapidamente e ne restano a me alcune copie, ma mio fratello pensava che quest'opera, alla quale aveva lavorato e alla quale teneva, come espressione del suo pensiero, dovesse essere solamente una parte del lavoro che stava preparando. Trovo nelle sue carte un quadro dell'opera nuova: per quanto riguarda la filosofia occidentale già trattata, egli avrebbe ridotto il capitolo sull’ Hegel e avrebbe aggiunto qualche cosa sugli altri e credo che avrebbe dato titoli diversi discostandosi dalle apparenze tomistiche. Nella nuova esposizione sarebbe risultato il suo pensiero che, nella prima edizione, è meno appariscente perché vi si sovrappone la critica ad ogni singolo pensatore: tuttavia come era nell’intenzione dell'autore la confutazione non viene fatta singolarmente ma in quanto in ognuno dei più grandi si riassumono gli errori. La confutazione di questi errori, sul piano generale del pensiero di tutti tempi e di tutti i popoli e il superamento di essi errori, rappresenta lo sforzo di mio fratello e la sua originalità. La nuova opera sarebbe stata divisa, come appare dal materiale lasciato (alcune molto sviluppate) in varie parti: “La ricerca di Dio nei secoli”, nella quale sarebbe stato trattato lo svolgersi del sentimento e del pensiero, con la dimostrazione che gli errori sono sempre gli stessi (idealismo, realismo ecc.); “Filosofia cinese” e in genere dell'estremo oriente (parte più sviluppata, con raccolta di materiale impressionante che riguarda i pensatori di ogni tempo) così come venne accennata nella Critica pubblicata e alla quale venne riconosciuta la genialità dell'impostazione; “Filosofia greca”; “Filosofia cristiana”; “Filosofia occidentale” con un capitolo di particolare rilievo sull'evoluzionismo; “Sintesi e ricostruzione”.
Credo che sia necessario che tu dia uno sguardo rapidissimo sulla mole di questi scritti, onde ne possa avere l'impressione immediata dell'importanza di essi e basterà poi che tu ti soffermi su qualche pagina, specie nella filosofia orientale. Mi sembra che così possa risultare, per il pensiero di mio fratello, l'evidente originalità di esso, in quanto egli, mi sembra, fermissimo nella fede come nella concezione cattolica, quale si sviluppò nei secoli; supera ogni forma neoscolastica, della quale si è per lui accennato: è sempre la forma che si sovrappone alla sostanza. Prova di ciò sono le pubblicazioni sulla Filosofia di Croce e quella sull'Esistenzialismo e l'articolo sull'Asia, ecc. dalle quali appare il processo formativo di natura essenzialmente psicologica del pensiero di Nino e della visione della vita che ebbe. Così si spiega anche come egli poté essere a conoscenza dei problemi e ti accenno a parte di essi, per dartene un'impressione, fugacissima che ti potrà servire.
Ti ho detto che sono numerose le lettere scritte, dopo lunga elaborazione (così che si tratta di veri scritti) ad amici, a discepoli, a pensatori miscredenti. Alcune di esse furono pubblicate, come quella diretta a Carmelo Ottaviano, sull'opera di questi è in genere sul realismo-idealismo. Scrisse su Bergson, su arte e moralità, su causalità e finalità dei fenomeni della natura, sulla psicanalisi, sulla concezione filosofica del comunismo, sullo storicismo come religione, su Confucio e Laotze, sul buddismo in Cina, sulla Filosofia della massoneria, su Boyef, su Guido Gozzano, su Foscolo, su Renzi, su D'Annunzio, su Carducci, su Tagore, su Balzac, su Don Chisciotte, su De Santis, su Marx ecc. su questi argomenti e autori vi sono scritti pubblicati ed altri inediti.
Scrisse su moltissime riviste, quali la “Rivista di filosofia neoscolastica”, su “Studium”, su “Asiatica”, ecc. e su molti giornali.
Tu hai copia della Filosofia delle rovine, nella quale c’è gran parte della sua anima anche se, io penso, per qualche parte descrittiva è superata dal tempo.
Eccomi, caro Vito, giunto, mi pare al termine di questa mia doverosa fatica, doverosa anche verso di te. Non so che cosa io abbia scritto: rileggerò e rivedrò e manderò così come ho dettato. Penso ti possa servire e questa è la mia sola soddisfazione. Io non sono un filosofo, né uno scrittore di professione, e ho seguito l'impulso del mio cuore, come sono solito fare in tutte le cose della mia vita. Sulla lapide di mio fratello, che io ho dettato, c’è anche scritto che “I posteri ne ricorderanno la santità della vita e la forza dell'ingegno”. Sono stato ingannato da mio affetto. Certo egli vive e vivrà nel cuore di chi lo conobbe e certo nella luce dell'altra vita.
Ci siamo conosciuti poco, ci siamo visti una sola volta, ma tu comprendi che io non posso non volerti bene come se ti avessi conosciuto da molti anni. Ti ringrazio e ti abbraccio.

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